11 ottobre 2012

Cambio a Cuba: cambiare mentalità

Credo che di quello che Raul ha esortato a realizzare la cosa più importante e difficile sia il "cambio di mentalità”.  
E' senza dubbio il cambiamento che genera più contraddizioni in tutte le sfere della vita sociale e a tutti i livelli. Nessuno e niente sfugge alla necessità di cambiare la propria mentalità, se vogliamo capire a fondo che cosa significa.
Riguarda tutto, come noi pensiamo l'economica, la politica, la vita sociale, e soprattutto come pensiamo e vediamo noi stessi. All'interno di tutto questo è implicita anche la questione generazionale alla quale dobbiamo assolutamente prestare attenzione se vogliamo davvero cambiare.

Cambiare, vuol dire soprattutto  smettere di fare molte cose così come le abbiamo fatto finora. Ed è molto difficile dopo più di 50 anni. Se consideriamo che noi siamo sempre gli stessi. Pertanto, siamo i primi che dobbiamo cambiare. 

Tra di noi i più avvantaggiati sono coloro cha hanno avuto una visione più critica, senza che però nessuno li ascoltasse. 
Perché uno dei problemi più seri durante gli anni, è stato il modo poco rispettoso con il quale abbiamo considerato i “dissidenti”.

Nell’economia ad esempio. Dobbiamo considerare che oggi abbiamo 6.000.000 in più di abitanti di 50 anni fa con un reddito procapite più basso di quello del 1959. 

In un’isola circondata dal mare, il pesce è caro e insufficiente per il consumo interno, con un clima invidiabile non riusciamo a produrre sufficiente riso, alimento base a Cuba, al punto che lo dobbiamo importare, così come facciamo per lo zucchero, considerando che un tempo eravamo considerati “lo zuccherificio del mondo”.

Per quanto tempo continueremo a fare cose che hanno generato questi risultati?



Ma più che una necessità per l'economia, il cambiamento inevitabile della  nostra mente viene dall'urgenza di creare un nuovo dinamismo del sistema politico e della politica.  

Questo si concentra nella necessità di realizzare una serie di cambiamenti nello stesso tempo: 

- Se continuiamo con un partito unico, questo deve cambiare radicalmente i suoi metodi. Si deve relazionare con il popolo e deve fare della discussione aperta e  democratica il centro della sua attività politica. Adattare i suoi meccanismi ad una società che è cambiata molto negli ultimi 50 anni.


- Si deve creare di un sistema di organizzazioni politiche e di massa, che non siano come oggi semplici appendici di orientamenti che arrivano dall’alto, senza che esista un dibattito. Dove la gente comune possa trasmettere le proprie inquietudini e avere fiducia che vengano ascoltate per poi verificare che quello che bisogna correggere sia stato corretto veramente. Ogni organizzazione dovrebbe agire in modo rappresentativo degli interessi della società che raggruppa.

- Avere una stampa che sia realmente un meccanismo sensibile alle preoccupazioni della gente, le possa recepire, le trasmetta, le divulghi, che renda conto  e che possa chiedere spiegazioni a tutti i livelli, incluso alle strutture del partito.

- Avere un meccanismo di selezione dei quadri dirigenti in base al merito e alla preparazione per le attività che si devono realizzare. Che rispondano incondizionatamente solo alle richieste della gente.

- Le elezioni devono essere sempre più democratiche, a tutti i livelli, generando quello che potremmo chiamare un "processo di campagne morali" nelle quali ciascun candidato dica quello che ha da offrire al popolo, per guadagnarsi il diritto di essere eletto come loro rappresentante.
- Tutti gli organismi politici, di stato e di governo devono rendere conto in modo sistematico ai cittadini di quello che hanno fatto e che intendono fare, usando i media nazionali, provinciali e locali per comunicare con trasparenza le loro attività.

Tra di noi non esiste l’abitudine al dibattito. Solo ora si sta lentamente aprendo un pò di comprensione da parte di alcuni quadri:
- Siamo abituati che tutto venga “masticato al di sopra”, i nostri quadri considerano un loro diritto creare le norme senza rispettare la libertà individuale.
- I nostri dirigenti sono abituati a dire sempre l’ultima parola. Contraddirli viene considerato ignoranza di chi lo fa, mancanza di informazioni, superficialità e in molte occasioni assenza di spirito rivoluzionario.
- I nostri quadri sono abituati a ordinare ed essere obbediti piuttosto che a convincere della loro giusta direzione. La paura di perdere la carica e i piccoli privilegi raggiunti formano la mentalità dei nostri dirigenti.
 - La nostra stampa è troppo elitaria, per niente autocritica. Non è abituata a pretendere le informazioni per trasmetterle al popolo. Non è uno strumento efficace per stimolare il cittadino ad un dibattito sui problemi. Sembra che oggi stia lentamente cambiando, ma con molto timore.

Tutto questo tende a formare nel cittadino una mentalità per la quale non bisogna preoccuparsi di nulla, sono altri quelli che si devono preoccupare e occuparsi di tutto. Questo contribuisce a plasmare un'attitudine passiva molto difficile da cambiare. Non poche voci che hanno cercato di rompere questa mentalità hanno dovuto sopportare una repressione da parte degli organi superiori.
Il cambiamento di atteggiamento nei confronti del dibattito e verso lo spirito critico deve poi giocare tre processi strettamente correlati:


- Come si formulano le politiche.

- Come le politiche sono attuate.

- Come queste sono corrette.

In questi tre momenti è indispensabile la partecipazione dell’individuo, partendo dalle sue organizzazioni di base, dal nucleo politico, dalle imprese o istituzioni. Inoltre è indispensabile che la stampa rifletta fedelmente il dibattito e le individualità delle opinioni in modo che si possano esprimere attraverso i meccanismi informativi, la radio, la televisione e la stampa scritta. Se questi meccanismi non funzionano, non è possibile superare il modo di comandare di alcuni quadri, l’impunità di certe decisioni, né l’arbitrarietà e lo spirito corrotto che a volte alcuni strumenti di comando utilizzano.



Ma la cosa peggiore è che se tali meccanismi di dibattito non funzionano, la gente non si sentirà mai parte responsabile di un processo che li tocca direttamente. Questo genera il divorzio tra politica e popolo, che è il fenomeno più negativo che si possa generare all’interno di un processo di cambiamenti sociali, economici e politici come quelli che Cuba vive oggi.



Non è difficile incontrare persone rivoluzionarie che non sono disposte ad accollarsi più problemi per contestare le cose fatte male. Questa mentalità deve essere contrastata, dando segnali del fatto che la critica non deve essere penalizzata e nemmeno bloccata.

Il fatto di “non prendersela a cuore” è qualcosa che è cresciuto nel tempo, producendo una situazione estremamente negativa, che genera problemi come:



- Un processo di isolamento volontario e involontario in merito alla partecipazione che il cittadino deve avere nel condurre la società con il suo comportamento individuale.
- Il cittadino si rifugia nell’individualità, in quello che gli interessa direttamente e lascia che il resto trascorra in qualche modo, senza prestargli la minima attenzione. Producendo un livello di indolenza che si manifesta in innumerevoli forme.
- Questo genera le manifestazioni di indisciplina sociale. Come non pagare il trasporto pubblico, le costruzioni illegali, la marginalità, il delitto, la corruzione, etc.
- Le organizzazioni sociali e di massa in questo modo perdono la loro capacità di mobilizzazione. La cosa più pericolosa è che stimolano la partecipazione di membri della società da un’ottica negativa e con propositi sovversivi.
- Le misure economiche come il lavoro in proprio, la piccola impresa e altre forme di proprietà privata che sono stimoli positivi per l’incremento della produzione, considerando quello appena detto potrebbero incrementare l’individualismo del ”si salvi chi può”, influenzando negativamente la prospettiva sociale dei problemi e le sue possibili soluzioni.

Il cittadino si deve sentire parte di un processo di ricostruzione economica e politica che lo coinvolge e preservare così questo processo dalle deviazioni negative che ogni cambiamento può generare.
Il cambiamento di mentalità deve generare un clima politico di fiducia nell’efficacia della partecipazione dei cittadini, la cessazione del menefreghismo, la sensazione che i problemi si stanno risolvendo, che la trascuratezza non è considerata, che ci si muove verso un cammino determinato. In caso contrario, avremmo solo uno slogan in più e non ci sarà più tempo per recuperare una situazione come questa.

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