Il significato comune di
questo termine è riferito a quelle persone che trasportano droga attraverso le
frontiere, generalmente da paesi sudamericani come il Messico o la Colombia
verso gli USA, ma a Cuba indica chi trasporta quelle merci introvabili sul’isola
e che vengono poi rivendute nei negozi privati delle città cubane.
Questa probabilmente è l’anomalia
più evidente delle licenze concesse dal governo per quelle attività in proprio,
che da circa un anno e mezzo, sono una realtà ormai affermata.
Alla fine di Maggio 2012
erano 387.275 i lavoratori in proprio, la maggior parte dei quali gestiscono
piccoli negozi di abbigliamento e accessori, parrucchieri ed estetica,
ristoranti e bed & breakfast, o più
semplicemente vendono direttamente sulla strada computer, cellulari, hard disk
e chiavi USB.
L’anomalia consiste nel
fatto che a Cuba non esistono mercati all’ingrosso per rifornire questi esercizi
commerciali.
Anzi è illegale importare
merce con scopo commerciale sull’isola.
I prodotti necessari per
svolgere queste attività devono essere acquistati, nei rari casi in cui si
possono trovare, nei supermercati statali, con il conseguente prezzo elevato e
scarsa qualità.
Ecco quindi che
pantaloni, magliette, scarpe, ma anche creme e sciampo, per non parlare di
alcuni generi alimentari come spezie o caffè vengono introdotti “illegalmente”
da paesi vicini: USA primo fra tutti, ma anche Venezuela, Repubblica
Dominicana, Messico e altri paesi del Sudamerica.
Prolifera così la nuova
professione di “mula”.
Singoli individui che
viaggiano all’estero, potendolo fare perché possiedono un permesso di soggiorno
in quei paesi o un passaporto estero, e portano a Cuba i rifornimenti per le
più svariate “attività in proprio”.
L’approvvigionamento di
questi generi è ulteriormente penalizzato dall’entrata in vigore lo scorso 18
Giugno di nuove tasse doganali per i beni di uso personale importati a Cuba.
Non solo, dal prossimo 3
Settembre una nuova risoluzione aggraverà maggiormente l’importazione di
svariati articoli personali senza scopo commerciale sull’isola.
Il valore massimo di
questa merce non dovrà superare i $50,99, in caso contrario per ogni
kilogrammo extra si dovranno pagare 10 pesos cubani (CUP) per i cittadini
cubani o i residenti permanenti, e 10 pesos convertibili (CUC) per chi risiede
all’estero.
Inoltre anche i cittadini cubani
che ricevono pacchi dall’estero superiori ai 3 Kg e di un valore maggiore ai
200 CUP dovranno pagare una tariffa del 100% del valore della merce importata.
Gli unici articoli esenti
da questa regolamentazione sono i medicinali.
Si prevede così un duro
colpo per “las mulas” che vedranno la loro attività gravemente penalizzata.
Di conseguenza le
attività in proprio che trattano merce introvabile a Cuba non solo subiranno un
danno elevato, ma in alcuni casi l’aumento del costo degli articoli offerti
renderanno ulteriormente difficile per il cittadino comune comperarsi un paio
di scarpe o di jeans.
Lo sviluppo del settore
privato per il momento continua ad essere una mera illusione.
E’ davvero
incomprensibile a paradossale che da una parte il governo permetta e promuova
attività commerciali private, e dall’altra pretenda mantenere un controllo
sulle merci importate.
L’unica ovvia alternativa
potrebbe essere la creazione di mercati all’ingrosso dove poter acquistare
legalmente quelle merci estere che vengono vendute a Cuba.
Oltre a spingere lo
sviluppo di una economia interna sarebbe una importante fonte di guadagno per
le casse dello Stato e l’inizio di rapporti commerciali con paesi vicini che
metterebbe in difficoltà il prepotente embargo che gli USA continuano a
sostenere nei confronti di Cuba.
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